stampa del 1789 i cui metadati sono qui

La lezione di storia. Perché il digitale a scuola non è un’opzione

Giulio Blasi
11 min readFeb 7, 2018

Non voglio girarci attorno perché questo post sarà di per sé piuttosto lungo. Il mio obiettivo polemico è un documento che circola in rete come “Appello per la Scuola Pubblica” (qui trovate il documento intero) e in particolare una sezione di tale documento — la sezione 2 intitolata “Innovazione didattica e tecnologie digitali” — che si scaglia contro il proliferare di iniziative a favore di sperimentazioni con tecnologie digitali a scuola che costituirebbero

“un insieme di ‘riforme striscianti’  che demoliscono pezzo a pezzo l’edificio della Scuola Pubblica dal suo interno” (ibid.). Introdurre tecnologie a scuola non ha alcun senso in sé, innovazione è “tutt’altro”: a) “valorizzare (...) l’interculturalità, la creatività e l’immaginazione, il pensiero critico e quello simbolico, nella didattica così come nell’impianto complessivo della scuola” ma in sostanza soprattutto b) “il miglioramento dell’apprendimento e dell’insegnamento passa (...) per altre strade: quelle dell’attuazione del dettame della nostra Costituzione” (ibid.).

“Introdurre tecnologie a scuola non ha alcun senso in sé”. La tecnologia — questo è l’argomento implicito nel documento che usa addirittura il testo della Costituzione per arrivare al bersaglio — sarebbe neutrale o addirittura irrilevante rispetto al valore generale di promuovere l’interculturalità e l’immaginazione, il pensiero critico e simbolico. Innovazione, secondo gli estensori del documento, è anzitutto rispettare la Costituzione.

Si potrebbe naturalmente rispondere a questo appello ricordando mezzo secolo di studi che — a partire dalle ricerche seminali di Ong, Innis, Havelock, McLuhan, Eisenstein e dalle decine di linee di ricerca che ne sono conseguite a partire dagli inizi degli anni ’60 — hanno dimostrato che invece no, il medium della comunicazione conta e conta in modo decisivo nella storia del sapere, della società, della politica.

Ma non è questa la strada che ho voglia di percorrere oggi. Il percorso che seguirò è diverso. Immaginerò di essere un professore di storia e immaginerò di star preparando una lezione sulla Rivoluzione Francese. Mi scuso a priori con i professori di storia veri che potrebbero leggere questo post ma il mio è solo un esempio e avrei potuto qui parlare di biologia, di lingue straniere, di geografia o di filosofia.

E mi porrò la seguente, semplicissima, domanda.

E’ possibile nel 2018 fare una lezione sulla Rivoluzione Francese senza fare un uso estensivo - sia in fase di preparazione che in fase di presentazione e lavoro con gli studenti - delle nuove tecnologie e in modo particolare di un insieme di servizi e opportunità che derivano in fin dei conti dalla disponibilità di Internet su una pluralità di device? E se si evita il ricorso a Internet cosa esattamente si perde? Qual è l’effetto di tale "sottrazione"?

Una fenomenologia dell’assenza di Internet è relativamente semplice per una persona della mia generazione (sono nato nel 1964), basta far ricorso alla memoria. Tutte le lezioni che ho ricevuto sulla Rivoluzione Francese dalla metà degli anni ’70 alla fine degli anni ’80 sono state lezioni prive di Internet e i componenti di tali lezioni erano sempre inevitabilmente i medesimi:

  • la performance orale del professore (la “lezione frontale”, come si suol dire);
  • un testo di riferimento nel manuale di storia moderna, una sintesi che in qualche decina di pagine ripercorre la storia della Rivoluzione dagli Stati Generali al 18 Brumaio o altra segmentazione temporale ritenuta rilevante dall’insegnante;
  • un’antologia di testi con brani “critici” (discorsi e testi del periodo rivoluzionario? analisi della Rivoluzione dal punto di vista dei contemporanei — sfido a trovare un’antologia nella quale manchi che so Edmund Burke — o dal punto di vista di uno o più storici che dal 1789 al momento della lezione abbia scritto su questo tema);
  • un microscopico apparato iconografico consistente tipicamente nelle immagini e in qualche cartina o tabella inclusa nel manuale di storia o nei testi supplementari proposti.

Tutto ciò generava un “kit” composto — nel migliore dei casi — da un centinaio di pagine e qualche immagine di accompagnamento funzionale alla lezione frontale del professore, che per ipotesi supponiamo ottima, ben informata e attraente per gli studenti.

Tutto qui? Beh sarebbe ingeneroso fermarsi qui. Trattandosi di una ricostruzione ideale supporrò di aver studiato in una scuola estremamente ben organizzata in cui il gruppo insegnante della mia classe abbia deciso di esplorare in modo coordinato, nel medesimo periodo dell’anno, tutte le interrelazioni disciplinari possibili di un tema come la Rivoluzione Francese:

  • l’insegnante di Italiano avrà aperto un dossier di riferimenti alla letteratura italiana;
  • l’insegnante di Filosofia avrà posto le basi per una storia intellettuale della Rivoluzione o almeno rischematizzato il ruolo dei grandi pensatori illuministi durante la Rivoluzione;
  • l’insegnante di storia dell’arte potrà amplicare lo spettro iconografico risicato del manuale di storia parlando del ruolo dell’arte nell’epoca rivoluzionaria ma anche di singoli dipinti che potrebbero essere a pieno titolo parte dell’antologia di scritti critici sulla Rivoluzione.

La lista potrebbe continuare ma è chiaro che il kit dello studente si è ora notevolmente allargato e la Rivoluzione Francese è diventata il punto di congiunzione di una rete di relazioni tra alcuni manuali (storia, italiano, letteratura straniera, filosofia, storia dell’arte, storia della musica, ecc.), oggi diremmo di una “mappa concettuale” ma non voglio indulgere in questa terminologia modernista (invero risalente all’Encyclopédie e molto alla moda anche quando io frequentavo il liceo, a giudicare dai volumi finali dell’Enciclopedia Einaudi, ma questo è un altro discorso).

Proviamo a pensare, dal punto di vista dei media coinvolti nel processo, cosa succede nella relazione insegnante-studente con un simile kit. Quali sono i media coinvolti? Semplificando molto (perché il mio obiettivo qui non è una fenomenologia della lezione di storia):

  • il medium orale della lezione (reiterato e segmentato in più lezioni) presumibilmente schematizzato in appunti manoscritti (che magari gli studenti più bravi potrebbero scambiarsi tra loro e con i loro compagni);
  • il medium scritto dei manuali (immaginiamo di aver raccolto tutte le sezioni rilevanti dei diversi manuali in un incartamento autonomo: diciamo cento o duecento pagine di testo con qualche immagine dedicata alla storia, la filosofia, la storia letteraria ecc. del periodo rivoluzionario);
  • il medium visivo di una piccola raccolta iconografica (per quanto ora allargata dal docente di Storia dell’arte) raffiguranti, che so, i personaggi principali della Rivoluzione, i dipindi di David, ecc. ecc.;
acquaforte, 1791 (https://frda.stanford.edu/fr/catalog/vr874bf7324)

Fin qui il kit di base preparato dal gruppo docente di una classe di liceo diciamo nel 1979. Io credo che tutto ciò sia ancora estremamente importante oggi e dunque nel fare un salto temporale a una lezione sulla Rivoluzione Francese tenuta nel 2018 non mi porrò il problema di cosa sia disponibile oggi per l’insegnante “in alternativa” ma di cosa invece sia disponibile “in aggiunta” e di quale sia il significato di questa “aggiunta”.

Comincerò con una serie di esempi di “materiali” sulla Rivoluzione Francese disponibili in rete e trarrò poi alcune conseguenze generali da questi esempi.

1. French Revolution Digital Archive (FRDA) (Stanford University e Bibliothèque Nationale de France)

Il FRDA è stato progettato nel 2006 a Stanford da Dan Edelstein e lanciato nel 2013. Si tratta di un archivio digitale assolutamente straordinario che comprende due macro insiemi di documenti:

  • da un lato la digitalizzazione (e la trascrizione) dei primi 82 volumi degli archivi parlamentari che coprono il periodo tra i Cahiers des états généraux del 1789 e il 15 nevoso dell’anno II (4 gennaio 1794), circa a metà del Terrore. Si tratta di un materiale assolutamente straordinario che documenta il lavoro — giorno per giorno — dei vari organi legislativi che hanno legiferato in Francia in questo lasso di tempo;
  • dall’altro un corpus iconografico ricchissimo di circa 14.000 immagini che coprono il periodo tra l’inizio della Rivoluzione e l’emergenza di Napoleone.

Ecco ad esempio il discorso d’apertura di Luigi XVI nella prima sessione degli Stati Generali, il 5 maggio 1789, dopo che “le silence le plus profond succède aux acclamations”:

« Messieurs, ce jour que mon cœur attendait depuis longtemps est enfin arrivé, et je me vois entouré des représentants de la nation à laquelle je me fais gloire de commander.

« Un long intervalle s'était écoulé depuis les dernières tenue! des Etats généraux, et quoique la convocation de ces Assemblées parût être tombée en désuétude, je n'ai pas balancé à rétablir un usage dont le royaume peut tirer une nouvelle force, et qui peut ouvrir à la nation une nouvelle source de bonheur.
« La dette de l'Etat, déjà immense à mon avènement au trône, s'est encore accrue sous mon règne; une guerre dispendieuse mais honorable en a été la cause; l'augmentation des impôts en a été la suite nécessaire, et a rendu plus sensible leur inégale répartition. « Une inquiétude générale, un désir exagéré d'innovations se sont emparés des esprits et finiraient par égarer totalement les opinions, si on ne se hâtait de les fixer par une réunion d'avis sages et modérés. « C'est dans cette confiance, Messieurs, que je vous ai rassemblés, et je vois avec sensibilité qu'elle a déjà été justifiée par les dispositions que les deux premiers ordres ont montrées à renoncer à leurs privilégespécuniaires. L'espérance que j'ai conçue de voir tous les ordres, réunis de sentiments, concourir avec moi au bien général de l'Etat, ne sera point trompée (...)
https://purl.stanford.edu/bm916nx5550

Se la prima obiezione che vi viene in mente è che il testo è in francese del Settecento e che nessuno studente (oltre che pochissimi insegnanti di storia) sarebbe in grado di decifrarlo, beh dovreste dare un’occhiata al modo in cui Google Translate traduce il passo citato: provate!

2. Presse durant la Révolution (Gallica)

La stampa e in modo particolare la stampa quotidiana e periodica e la stampa di pamphlet giocò un ruolo decisivo nel periodo rivoluzionario. Circa 1.300 nuovi titoli apparirono sulla scena e oggi moltissimo di quel materiale è digitalizzato e disponibile online, come nella raccolta di Gallica.

http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k1056662k?rk=21459;2

3. French Revolution Pamphlets: Rare Books Collection (University of Alabama)

Molte biblioteche digitali come quella della University of Alabama permettono di ricostruire collezioni significative di pamphlet pubblicati nel periodo rivoluzionario. Fonti di questo tipo permettono di ricostruire le interrelazioni tra istituzioni rappresentative e opinione pubblica in modo estremamente dettagliato.

http://acumen.lib.ua.edu/u0002/0000006/0000019/0001/?page=1&limit=40

4. A Literary Tour of France (Robert Darnton)

Il mondo dei libri in Francia prima della Rivoluzione francese: archivi e materiali sul mondo del libro e della censura libraria tra il 1769 e il 1789, curati da Robert Darnton inclusa la pubblicazione integrale di 500 rapporti della polizia parigina su autori francesi (qui di seguito ad esempio qualche riga del rapporto su Voltaire descritto come “grand, sec et l’aire d’un satyre”…).

http://www.robertdarnton.org/authors

5. Una lista MLOL

Mi fermo qui ma è chiaro che si potrebbe andare molto oltre anche semplicemente consultando la biblioteca (analogica o digitale) della propria città o scuola. Qui ad esempio ho salvato una lista di risorse trovate su Emilib anche se probabilmente muovendovi direttamente su fonti francesi avreste qualche vantaggio.

http://emilib.medialibrary.it/liste/scheda.aspx?id=146051

OK, quindi?

Anzitutto: riuscite a immaginare quello che un vero e bravo insegnante (non io quindi) sarebbe in grado di fare potendo disporre lui stesso o far accedere i suoi studenti a un materiale simile? Riuscite a immaginare i lavori di gruppo che potrebbero essere organizzati e le verticalizzazioni a partire dal manuale di storia che diventano possibili? Provate a fantasticare un po’ prima di continuare (io sto sognando gruppi di studenti che lavorano a ricostruire l’iconografia di aspetti diversi della rivoluzione: i luoghi, i personaggi, gli abiti, i percorsi cittadini; gruppi di lavoro che costruiscono il TG di alcuni giorni chiave; gruppi di lavoro che lavorano sul tema delle “fake news” come strumento di lotta politica durante la Rivoluzione; gruppi di lavoro che confrontano gli stili oratori e la retorica di personaggi diversi; ecc. ecc. e se non mi fermo rimango imbambolato 8 ore a immaginare quanto meraviglioso potrebbe essere fare questo lavoro).

Credo che questi pochi esempi indichino in modo molto chiaro un fenomeno del tutto generale e trasversale alle diverse materie scolastiche, un fenomeno che rende il mio esempio in questo post sostituibile da quasi qualunque altro argomento di lezione vi venga in mente, indipendentemente dall’area disciplinare di riferimento.

Riassumerei questo fenomeno nei seguenti punti:

  • lo sviluppo di Internet e delle biblioteche digitali ha oggi reso le fonti primarie e una grande quantità di letteratura secondaria immediatamente accessibili a studiosi, insegnanti e studenti attraverso una molteplicità di dispositivi largamente diffusi. Materiali che un tempo erano destinati a essere usati dai soli studiosi in grado di viaggiare per il mondo sono oggi accessibili a un pubblico larghissimo attraverso la sola disponibilità di una connessione Internet e di un dispositivo connesso (smartphone, tablet, computer, LIM…);
  • il lavoro sulle fonti e sulla letteratura secondaria può diventare — contrariamente a quanto fosse possibile solo alcuni decenni fa — l’oggetto di un lavoro collaborativo e cumulativo tra insegnanti e studenti, studenti e studenti, insegnanti e insegnanti che apre alla possibilità di una molteplicità di attività didattiche ed espositive semplicemente impensabili in precedenza;
  • il rapporto tra fonti primarie e fonti secondarie enciclopediche (in primis, Wikipedia) può diventare l’oggetto di un confronto critico tra insegnanti e studenti e far emergere una vera e propria azione di editing e curation digitale da parte delle scuole;
  • per citare un tema che Gino Roncaglia ha affrontato più volte, il rapporto tra granularità dell’informazione (primaria e secondaria) disponibile in rete e la complessità interpretativa dei temi affrontati (l’orizzonte interpretativo della “Rivoluzione Francese” come tema storiografico e non come puro insieme o sequenza evenemenziale) può essere tematizzata e affrontata in classe proprio grazie alla grande disponibilità documentale in rete;
  • se la mediazione interpretativa (la manualistica “d’autore”, per semplificare) dei fenomeni complessi rimane secondo me una necessità anche e soprattutto nell’epoca di Internet, limitarsi ad essa non è però più oggi inevitabile e imposto dai limiti di mobilità e disponibilità documentale dei singoli. Il carattere specifico del sistema documentale, del sistema bibliotecario e archivistico e del sistema dei media nel quale oggi viviamo (dopo l’espansione di Internet seguita all’invenzione del web alla fine degli anni ’90) è la straordinaria facilità di accesso ai documenti, alle fonti, in tutte le aree del sapere: rinunciare a tematizzare, sperimentare ed esplorare questa facilità sarebbe secondo me un gravissimo errore di incomprensione e sottovalutazione delle nuove condizioni tecnologiche e materiali dell’accesso alla conoscenza.

In questi giorni si discute del BYOD e del modo in cui la scuola dovrebbe gestire l’uso (anche da parte degli studenti) dei propri dispositivi di accesso alla rete in classe.

Il “decalogo” del BYOD secondo il MIUR (gennaio 2018)

Ecco, tornando al documento che costituisce l’oggetto della mia polemica, io credo che non sia possibile oggi per la scuola considerare la rete e i dispositivi tecnologici che permettono l’accesso alla rete come un semplice add on (magari anche pericoloso e distraente) dei veri valori educativi e delle vere metodologie di insegnamento, per altro magnificamente sintetizzati nel dettato della nostra Costituzione (su questo siamo d’accordo).

L’innovazione digitale cui con fatica gli insegnanti e il ministero lavorano (ad esempio con il Piano Nazionale Scuola Digitale) è un vero e proprio obbligo morale per chi ritiene utile spiegare agli studenti di oggi che un solo colpetto di pollice li separa non solo dalle loro amatissime chat ma anche dai documenti che ci raccontano il day-by-day della Rivoluzione Francese o le basi della biologia molecolare in un modo che sarebbe stato impossibile da immaginare qualche decennio fa.

Forse è per lo spirito illuministico surrettiziamente irradiato dal mio esempio che scrivo tutto ciò, ma in generale troverei cupa e inutilmente auto-limitata una scuola che non fosse in grado di spiegare questa semplice immagine, con la quale chiudo questo post impossibilmente lungo.

lo smartphone, tra whatsapp e l’accesso alle fonti storiche…

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